VITA DI PI
Titolo originale: Life of Pi Produzione:
USA/Cina 2012 Durata: 2h07’, colore
Regia: Ang Lee
Cast (interpreti e personaggi): Suraj Sharma (Pi Patel), Irrfan Khan (Pi Patel adulto), Adil Hussain (Santosh Patel), Tabu (Gita Patel), Rafe Spall (scrittore), Gérard Depardieu (cuoco), James Saito (Investigatore assicurativo anziano), Jun Naito (Investigatore assicurativo giovane), Andrea Di Stefano (Prete).
Il giovane Pi Patel è cresciuto con la famiglia a contatto con lo zoo paterno, mescolando fin dall'infanzia sogno e realtà. Quando il padre ha esigenze di denaro e sceglie di trasferirsi in Canada per vendere lo zoo, Pi ancora non può intuire cosa lo attenderà nelle vastità oceaniche. Di fronte a una tempesta terrificante, la nave affonda, lasciando in breve tempo Pi con un'unica compagna di viaggio: la tigre Richard Parker, l'animale più temuto dello zoo paterno. Pi potrà solo fare affidamento alla propria intelligenza per poter sopravvivere e convivere con la tigre.
Ha diretto ogni genere di film Ang Lee (drammatico, commedia, melò, super eroico e “wuxia”) riuscendo a portare a casa un numero incredibile di premi, ed ora si cimenta nel difficile compito di realizzare un film in 3D partendo dal romanzo best-seller di Yann Martel. E ci riesce in pieno e con merito, provando a realizzare un’opera che sia un ponte tra la grande produzione ad ampio raggio (il pubblico dei blockbusters, per intenderci) e la nicchia dei cinefili amanti delle pellicole del regista di Taiwan. Quasi (anzi, sicuramente) un film di formazione per il suo protagonista, vittima della scelta di un nome improponibile (Piscine Molitor Patel) che lui stesso saprà trasformare in un altro nome dal valore assoluto ed insindacabile (Pi, come il Pi greco della geometria), a cui Ang Lee cuce addosso una storia che va dal catastrofismo in stile Titanic, alla ricerca dell’isola tanto agognata ma portatrice di oscuri mali. Grazie e riprese “naturali” della sua nativa Taiwan collegate inesorabilmente alla magia della computergrafica assistiamo alla presenza di megattere luminescenti, zoo stracolmi di animali che forse sembrano ricordare gli esseri umani, i giochi tra cielo e mare e la conclusione molto contemporanea figlia di uno spettacolo al servizio del sentimento. Credo che tutti siano stati accontentati: gli amanti del 3D puro (anche se chi scrive – purtroppo – l’ha potuto vedere in 2D), quelli dei film di Shyamalan con finale da dubbio di fede e quelli dei film in stile romanzo di formazione. Una curiosità: anche qui come in The Millionaire di Boyle il protagonista è indiano: forse per il legame tra la difficile vita in quella terra e la magia che quei luoghi portano agli occhi ed alla mente di chi li conosce, anche grazie a registi di questo calibro.
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