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18 gen 2013

APPUNTAMENTO SETTIMANALE SUL CINEMA


WATCHED BY CHIARO SCURO






JACK REACHER – LA PROVA DECISIVA 
Titolo originale: Jack Reacher 

Produzione: USA 2012 Durata: 2h10’, colore
Regia: Christopher McQuarrie
Scripting: Christopher McQuarrie (sceneggiatura) dal libro “One Shot” di Lee Child

Cast (interpreti e personaggi): Tom Cruise (Reacher), Rosamund Pike (Helen), Richard Jenkins (Rodin), David Oyelowo (Emerson), Werner Herzog (The Zec), Jai Courtney (Charlie), Vladimir Sizov (Vlad), Joseph Sikora (Barr), Robert Duvall (Cash).

Cinque persone vengono uccise apparentemente a caso da un cecchino, sulla banchina di un fiume, mentre conducono la vita di tutti i giorni. Le prove sono schiaccianti e incastrano un ex militare, un tiratore addestrato. Pestato brutalmente durante l'interrogatorio, prima di cadere in coma, l'accusato fa un solo nome: Jeack Reacher. L'avvocato difensore non sa come soddisfare la richiesta, Reacher sembra non esistere, ma ecco che è lui stesso a presentarsi, con una teoria a dir poco spiazzante: il militare è colpevole, ma non di quell'eccidio.

C’è una punta di divertimento nel guardare l’opera seconda dello sceneggiatore de I soliti sospetti: cioè poter mescolare la capacità di stare sopra la legge tipica degli ex appartenenti all’esercito ad un’intelligenza deduttiva al di sopra della media. È questo che rende il personaggio di Cruise non troppo credibile anche se la sceneggiatura (scritta dal regista stesso partendo da un racconto di Lee Child) forse un po’ pretenziosa, gli ricama addosso un protagonista che rende l’attore americano il regista di sé stesso. La scrittura è a tratti brillante e piena di battute, ma è la presenza di due capi saldi del cinema a rendere l’atmosfera del film godibilissima: il regista Werner Herzog, qui nei panni di un ex prigioniero sopravvissuto e senza nome (The Zec), che si diverte a fare il duro con classe; e Robert Duvall sempre grande nella pochezza delle sue apparizioni cinematografiche. Va di logica che gli altri, cioè Rosamun Pike e lo stesso Cruise, ne soffrano un po’. Il film ha avuto una gestazione di ben sette anni: il risultato, forse, può andar bene così.

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7 gen 2013

APPUNTAMENTO SETTIMANALE SUL CINEMA

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VITA DI PI
 Titolo originale: Life of Pi Produzione: 
USA/Cina 2012 Durata: 2h07’, colore
Regia: Ang Lee

Cast (interpreti e personaggi): Suraj Sharma (Pi Patel), Irrfan Khan (Pi Patel adulto), Adil Hussain (Santosh Patel), Tabu (Gita Patel), Rafe Spall (scrittore), Gérard Depardieu (cuoco), James Saito (Investigatore assicurativo anziano), Jun Naito (Investigatore assicurativo giovane), Andrea Di Stefano (Prete).

Il giovane Pi Patel è cresciuto con la famiglia a contatto con lo zoo paterno, mescolando fin dall'infanzia sogno e realtà. Quando il padre ha esigenze di denaro e sceglie di trasferirsi in Canada per vendere lo zoo, Pi ancora non può intuire cosa lo attenderà nelle vastità oceaniche. Di fronte a una tempesta terrificante, la nave affonda, lasciando in breve tempo Pi con un'unica compagna di viaggio: la tigre Richard Parker, l'animale più temuto dello zoo paterno. Pi potrà solo fare affidamento alla propria intelligenza per poter sopravvivere e convivere con la tigre.

Ha diretto ogni genere di film Ang Lee (drammatico, commedia, melò, super eroico e “wuxia”) riuscendo a portare a casa un numero incredibile di premi, ed ora si cimenta nel difficile compito di realizzare un film in 3D partendo dal romanzo best-seller di Yann Martel. E ci riesce in pieno e con merito, provando a realizzare un’opera che sia un ponte tra la grande produzione ad ampio raggio (il pubblico dei blockbusters, per intenderci) e la nicchia dei cinefili amanti delle pellicole del regista di Taiwan. Quasi (anzi, sicuramente) un film di formazione per il suo protagonista, vittima della scelta di un nome improponibile (Piscine Molitor Patel) che lui stesso saprà trasformare in un altro nome dal valore assoluto ed insindacabile (Pi, come il Pi greco della geometria), a cui Ang Lee cuce addosso una storia che va dal catastrofismo in stile Titanic, alla ricerca dell’isola tanto agognata ma portatrice di oscuri mali. Grazie e riprese “naturali” della sua nativa Taiwan collegate inesorabilmente alla magia della computergrafica assistiamo alla presenza di megattere luminescenti, zoo stracolmi di animali che forse sembrano ricordare gli esseri umani, i giochi tra cielo e mare e la conclusione molto contemporanea figlia di uno spettacolo al servizio del sentimento. Credo che tutti siano stati accontentati: gli amanti del 3D puro (anche se chi scrive – purtroppo – l’ha potuto vedere in 2D), quelli dei film di Shyamalan con finale da dubbio di fede e quelli dei film in stile romanzo di formazione. Una curiosità: anche qui come in The Millionaire di Boyle il protagonista è indiano: forse per il legame tra la difficile vita in quella terra e la magia che quei luoghi portano agli occhi ed alla mente di chi li conosce, anche grazie a registi di questo calibro.

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APPUNTAMENTO SETTIMANALE SUL CINEMA

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LO HOBBIT – UN VIAGGIO INASPETTATO ***3D*** 
Titolo originale: The Hobbit: An Unexpected Journey 
Produzione: USA/Nuova Zelanda 2012 Durata: 2h49’, colore
Regia: Peter Jackson

Cast (interpreti e personaggi): Ian McKellen (Gandalf), Martin Freeman (Bilbo), Richard Armitage (Thorin), Ken Stott (Balin), William Kircher (Bifur/Tom Troll), Graham McTravish (Dwalin), James Nesbitt (Bofur), Stephen Hunter (Bombur), Dean O’Gorman (Fili), Aidan Turner (Kili), John Callen (Oin), Peter Hambleton (Gloin/William Troll), Jed Brophy (Nori), Mark Hadlow (Dori/Bert Troll), Adam Brown (Ori), Ian Holm (Old Bilbo), Elijah Wood (Frodo), Hugo Weaving (Elrond), Cate Blanchett (Galadriel), Christopher Lee (Saruman), Andy Serkis (Gollum), Sylvester McCoy (Radagast).

Sessant'anni prima che Frodo desse inizio al suo viaggio verso Gran Burrone e oltre, suo zio Bilbo Baggins si godeva la calma della Contea e l'assenza di avventure (fastidiose scomode cose che fanno far tardi a cena) fino al giorno in cui Gandalf il Grigio non si presentò alla sua porta e lasciò su di essa un segno. Poco dopo, uno dopo l'altro 12 nani e il loro capo Thorin Scudodiquercia, prendevano possesso della casa dello hobbit Bilbo e della sua dispensa, per arruolarlo e partire con lui alla riconquista del vecchio regno dei nani, Erebor, da troppo tempo nelle grinfie del terribile drago Smaug.

Mettiamo subito in chiaro una cosa: è inutile fare paragoni tra questo film e la Trilogia de Il Signore degli Anelli. Primo perché l’altra è la trasposizione di un romanzo già di suo diviso in tre, secondo perché la produzione di questa trilogia prevede la partenza da un’unica opera (Lo Hobbit) e la partecipazione alla sceneggiatura di Guillermo Del Toro (che era stato scelto come primo regista, salvo poi conferirne la regia a chi aveva più dimestichezza con la Terra di Mezzo). Molti si sono lamentati del troppo “buonismo” di Lo Hobbit: un viaggio inaspettato: a giustificazione di Jackson vale la pena ricordare che avendo tra le mani una combriccola di tredici nani, un mezz’uomo ed uno stregone è dura non cadere nel buffo e nel disordine. I fatti si svolgono parecchi decenni prima della festa di compleanno di Bilbo che apre La Compagnia dell’Anello, ma il regista ha creduto giusto unire le due storie con la narrazione del vecchio Bilbo (Ian Holm) che mette per iscritto a Frodo come sono iniziate le sue avventure alla caccia del drago Smaug. Pro e contro di una nuova avventura: il contro sono i 48 fotogrammi al secondo che scandiscono un nuovo modo di “girare” un film, francamente un po’ troppo pesanti (innumerevoli flash bianchi accompagnano la visione in 3D) e che sacrificano il realismo delle tre pellicole precedenti in favore di un qualcosa di più tecnico (ma non per questo migliore). I pro sono le prove attoriali, come sempre splendide nei film di Jackson: e se avremmo preferito sentire Gandalf con un altro doppiaggio (improponibile Gigi Proietti!) e la bellissima canzone dei nani a casa Baggins non doppiata ma sottotitolata, vale la pena spendere due parole per chi è nuovo e per chi c’era già. Il nuovo è Martin Freeman (già Watson nella splendida versione moderna per la televisione di Sherlock Holmes; il suo partner, Benedict Cumberbatch, darà vita al Negromante...) bravissimo nei panni del giovane Bilbo protagonista della parte migliore del film, quella dove è costretto a partecipare ad una gara di indovinelli con Gollum (questo è il vecchio) cui Andy Serkis dà ancora una volta grande spessore in motion capture. Tutto sommato un film che si lascia vedere, che non fapesare le quasi tre ore di durata e che ci catapulta ancora una volta in quel meraviglioso mondo di personaggi, lingue e scenari creati in maniera stupefacente da Tolkien. Sì, forse qualche cultore doc dello scrittore inglese storcerà il naso, ma preso come la prima parte di una complessa opera cinematografica rilascia ancora una volta quell’allure di bellezza (cito anche Cate Blanchett, che quando appare in tutta la sua maestosità lascia esterrefatti) che già circondava la trilogia precedente. Qualcuno che non conosce la definizione di “trilogia” alla fine del film borbotta, ma l’occhio del drago, sepolto sotto un mucchio d’oro, ci lascia la speranza di un nuovo, grande seguito.

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COLLEZIONE A/I 2012-13


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